Il sicocaco

Tutto è partito da una richiesta del seminarista Giovanni per la veglia di preghiera della Missione Giovani. L’ha rivolta a Matteo, che lavora in un vivaio: “Non è che puoi prestarci un sicomoro per quella sera, per richiamare l’albero di Zaccheo?” “Il sicomoro non ce l’ho, ma troverò qualcosa che ci aiuti a pregare…” E così è arrivato un bellissimo caco, già con alcuni frutti, subito battezzato “sicocaco”, perché “cacomoro” non ha avuto successo… E quella sera ci ha sorpresi tutti, entrando nella chiesa discretamente illuminata, con una luce che proiettava sul soffitto la sua ombra… Impossibile non pensare a Zaccheo, che lì si è “appostato”, come ci ha detto il rettore don Giampaolo nella sua riflessione: “Zaccheo fa parte degli ‘appostati’, persone che un po’ credono, un po’ partecipano alla vita della comunità, ma rimangono solo sulla soglia. Spettatori curiosi, a volte anche giudici di quello che avviene, ma loro rimangono un po’ dentro e un po’ fuori.
Eppure anche per gli appostati la fede è una ferita aperta che non riescono a eliminare del tutto. Zaccheo è appostato e cerca rifugio su un sicomoro, un albero dalle foglie larghe che gli permettono di guardare ma anche di nascondersi. Forse anche noi almeno un po’ siamo degli appostati, persone curiose, forse anche desiderose di vivere fino in fondo la proposta di Gesù, ma anche timorosi, come se una vita cristiana piena comportasse troppi limiti, troppe rinunce.
Immagino che stasera Gesù cerchi te, incroci il tuo sguardo, ti chiami per nome e semplicemente ti dica: “Scendi, oggi devo fermarmi a casa tua”. Non ti sta chiedendo niente, vuole solo entrare nella tua casa, nella tua vita, nelle cose che fai, in quelle che ami. Vuole entrare nelle tue gioie e nelle tue fatiche, nei tuoi sogni per il futuro e nei tuoi affetti.
Gesù non ha paura delle tue fragilità, non è accecato dal negativo, non ha nessuna critica da farti, vuole solo abitare la tua vita”.
Non dimenticheremo la nostra chiesa piena di giovani delle tre comunità sorelle… Non dimenticheremo il silenzio, l’adorazione nella notte, gli occhi lucidi, i cuori con tante domande e i biglietti “profondi” appesi a quell’albero, come una preghiera appostata ma sincera: “Signore, ti chiedo la mia conversione”. “Signore, ti ringrazio per il dono della Missione. Attraverso tanti incontri hai rotto il mio appostamento”. “Signore, incontrami e indica anche a me la strada giusta”. “Signore, ti dono la mia paura”. “Entra nella mia casa, in ogni stanza, e sia primavera!” “Signore, non voglio più essere un appostato sull’albero”. “Signore, ti prego per i seminaristi: in questi giorni mi sono stati maestri di vita”.
E così, nel semplice silenzio della preghiera è avvenuto il miracolo: il caco è diventato un “sicocaco”, che ci ha ospitati e ha permesso a Gesù di dire proprio a ciascuno di noi le parole che fanno danzare il cuore: “Oggi devo fermarmi a casa tua!”
Già il giorno dopo è arrivata una voce, subito seguita da altre: “Sarebbe bello tenere il sicocaco… sarebbe bello piantarlo, perché ci ricordasse la Missione…” I giovani sanno cogliere lo Spirito che fa parlare le cose, trasformandole in simboli vivi, così che il caco non è più un semplice caco, ma diventa “il sicocaco di Gerico”… Come dire di no?
“Ma… un caco davanti alla chiesa? Non si è mai visto… Un albero da frutto non è elegante… e sporca…” Qualche obiezione era comprensibile, soprattutto per chi non ha partecipato al “miracolo” del “sicocaco”… Si sa, la novità fa sempre discutere e mettere le mani avanti… Ma alla fine, con la grande generosità di Gastone e Luciano, la disponibilità di Matteo, la collaborazione di Mattia, Giacomo, Lino e Nicoletta, il “sicocaco” è proprio nell’aiuola davanti alla chiesa… Le sue foglie ci ricorderanno quanto siamo apppostati e quanta misericordia dobbiamo avere nei nostri giudizi…
I suoi frutti saranno monito per tutti, ma soprattutto per noi adulti, della responsabilità di consegnare frutti di Vangelo ai giovani… Farà anche sporco, proprio come noi, che spesso non ci rendiamo conto dello sporco che siamo: ci aiuterà a sentire più nostra la comunità, a tirar su qualche foglia, a prendere una scopa, senza sentirci fuori posto e senza aspettare altri… Il suo nome scientifico è “diospyros kaki”, letteralmente “frumento di Zeus” ovvero “pane degli déi” per la sua dolcezza: ci ricorderà che una comunità cristiana esiste perché ci stringiamo attorno ad un Pane di una dolcezza divina, che non si può mangiare senza diventare dolcezza gli uni per gli altri…

don Silvano

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